| Vorrei anche sottolineare un aspetto che spesso non viene colto dalla gente che guarda o legge Ken, relativamente a questi discorsi sulla superiorità dell'uno o dell'altro. Il fumetto originale è stato concepito, nella sua sceneggiatura, da una persona matura, intelligente e ricca di sani principi: Buronson (scommetto che non lo sapevate, eh... ). Il racconto va letto in quest'ottica, perché è stato scritto da una persona adulta e consapevole per un pubblico che potesse comprendere il suo messaggio, non di certo per dei ragazzini. Visto che lo spazio per trasmettere questo messaggio in un manga è molto limitato, anche in termini di tempo -gli episodi uscivano con una cadenza molto serrata e questo costringeva gli autori a lavorare in modo spesso massacrante-, ed è necessario sfruttarlo al meglio, probabilmente lo sceneggiatore col valido aiuto del disegnatore ha cercato di far comprendere al lettore ciò che avrebbe espresso in maniera molto più esaustiva e dettagliata se ne avesse avuto la possibilità.
Perciò, si evince fin troppo bene, se lo si legge con attenzione, che c'è un discorso basato sulla "potenzialità"; questo, va da sé, non riguarda solo un probabile intervento del fato che ha "scelto" Kenshiro come successore dell'Hokuto Shinken (l'aspetto mistico è parte integrante dell'opera, non già per chissà quali ragioni religiose, ma solo perché la rende più affascinante e le dà una connotazione mitologica), ma soprattutto la sua o le sue capacità, intese anche come "arbitrarietà" -ossia, sapere di avere un talento innato da sviluppare e decidere di percorrere la via dell' "amore" per renderlo manifesto- nella consapevolezza di aver ricevuto un dono e una missione dal fato e che è suo compito portarla a compimento.
Raou, al contrario, ha già esaurito le proprie potenzialità e non è un prescelto. Raou è un banco di prova per Ken, serve a far capire a Ken la differenza fra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Il Raou che alla fine della serie conquista il Musotensei perché si rende conto che l'amore è l'unica cosa che muove il mondo, è la prova finale per Ken, poiché diventa quasi uno scontro con se stesso, oltre a fornire la dimostrazione che l'amore può albergare anche nelle menti più oscure. Del resto, paradossalmente, è stato proprio Ken, insieme a Giulia o grazie all'amore per Giulia, a insegnare al fratello il vero significato di questi sentimenti puri. Chiamatela pure redenzione, ma al di là di qualsiasi termine impegnativo, Raou diviene la pietra di paragone sin dal primo momento e colui che alla fine, purificato, purifica Ken da ogni bruttura e tragedia che ha vissuto. Un po' come se Ken si rendesse conto che la speranza esiste davvero, se il fratello che in realtà tanto amava riesce addirittura a ricambiare il suo amore, nonostante ciò sembrasse impossibile all'inizio della loro vicenda. Raou e Ken si somigliano, ma Ken ha il potere o la potenzialità, se preferite, di insegnare cos'è l'amore e la vita. In questo è superiore: non dimentica mai questi sentimenti, anche (anzi, soprattutto!) quando prende a calci in culo qualcuno.
Quindi, si ha un duplice aspetto, che sembra a tratti contradditorio: se Ken è un prescelto, perché mai dovrebbe preoccuparsi della sua evoluzione? In fin dei conti è un po' il nostro "aiutati che Dio t'aiuta". Naturalmente, in termini di sceneggiatura, Ken è il protagonista e perciò non può morire. Ma, per quanto sia ovvio dal punto di vista del racconto, è certamente necessario giustificarlo per non rendere l'opera grossolana e scontata. Ken deve dimostrare di valere e ciò non esclude che possa essere anche sconfitto o ucciso, se la guardiamo in un quadro più ampio e più realistico: insomma, ti ho consegnato questo dono, ma ora te lo devi anche meritare.
Ken è superiore sempre, perché è potenzialmente superiore a chiunque anche per ragioni "divine", ma in fin dei conti il racconto è bello proprio perché rappresenta il cammino di un uomo, seppur predestinato, costretto a vincere le sue paure, i suoi dubbi, la sua sofferenza, la sua rassegnazione per ritrovare la luce, la speranza e l'amore. Sentimenti che sono parte integrante di quelle sue immense potenzialità e che solo lui può decidere di sfruttare o meno, seguendo il cammino tracciatogli dal destino. Potrebbe anche non farlo, ma decide di farlo e di scoprire di cosa è capace, con l'aiuto naturalmente di tanti amici e rivali, i quali vedono in lui la quintessenza della "verità" e del significato vero della vita.
Si tratta di un punto di vista un po' più profondo, condivisibile o meno, ma conoscendo Buronson (attraverso le sue interviste) non credo che il concetto si allontani molto dal suo originario modo di pensare e concepire questo racconto. Buronson aveva le sue simpatie o antipatie per l'uno o per l'altro personaggio, se vogliamo guardare l'aspetto più superficiale e più divertente, ma il messaggio è una cosa alla quale teneva particolarmente e in qualche modo è riuscito a trasmetterlo in una forma a volte claudicante ma certamente efficace.
Edited by MusashiMiyamoto - 5/2/2015, 17:42 |
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