Lo shintoismo

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    Lo shintoismo


    ·Lo shintoismo delle origini:
    Lo shintoismo (accettata anche la variante "scintoismo" in italiano) è una tipica religione etnica, ovvero una religione primitiva intimamente legata alla lingua, alla cultura, alla tradizione e alle usanze della terra in cui ha avuto origine, un elemento fondamentale che indica l'appartenenza a una comunità tribale o a un determinato luogo.
    Una religione naturalistica indissolubilmente legata alla specifica realtà del popolo giapponese.
    Prima dell'introduzione del confucianesimo e del buddismo, la religione in Giappone era un miscuglio elaborato e per nulla diversificato di rituali legati all'agricoltura, di culti per le forze e le realtà della natura, di venerazione per gli antenati, e varie forme di sciamanesimo.
    L'unità sociale di questo complesso sistema di culti era un gruppo ereditario noto come uji (). Questo vocabolo non è facilmente traducibile, in senso stretto, ma viene spesso definito col termine clan, nonostante non sia del tutto appropriato, perché con uji s'intende un nucleo molto particolare e dalle caratteristiche peculiari, di cui parleremo subito.
    I membri di ogni uji veneravano una divinità comune, chiamata ujigami (氏神), la quale era in molti casi considerata l'antenato fondatore di quella comunità. A capo di un uji vi era un individuo che non ricopriva il semplice ruolo di leader politico, considerando la gerarchia sulla quale si fondava la comunità, ma anche di alto sacerdote. Una vera e propria carica religiosa. Questa dicotomia era dovuta al fatto che non esisteva, a quel tempo, il concetto di laicità, ovvero una netta differenza fra "chiesa" e "Stato" e la loro reciproca indipendenza.
    La situazione di quella società antica si riflette nel termine arcaico matsurigoto (), che aveva il duplice significato di "governo" e "rituali religiosi".
    Quando il popolo giapponese divenne un'entità unica sotto la corte di Yamato, quei culti locali e quelle tradizioni, precedentemente distinte, vennero man mano integrate e riorganizzate in un sistema religioso, i cui rituali e miti incentrati sulla dea del Sole Amaterasu (天照大御神) s'irradiavano in tutto il paese.

    Una raffigurazione di Amaterasu:
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    Lo shintoismo, la religione autoctona del Giappone, non ebbe origine come tale. Anche il termine Shintō (pressappoco "la via del kami") venne adottato solo in seguito all'avvento e alla diffusione della cultura cinese e di altre religioni, come il confucianesimo e il buddismo, per distinguere gli antichi costumi e rituali giapponesi dalla nuova cultura continentale nelle sue svariate forme.
    Di conseguenza, lo shintoismo era una religione poverissima di elaborazioni dottrinali, filosofiche e principi morali. Laddove vi era la necessità di esprimere il pensiero in modo sistematico, si mutuavano termini e concetti sia dal confucianesimo, sia dal buddismo, la cui elaborata superiorità dottrinale era innegabile.
    Inoltre, nello shintoismo delle origini è rilevabile l'espressione di un sistema di valori, ancora allo stato embrionale, che si è mantenuto fino all'epoca moderna, ingrediente fondamentale della cultura e della religione giapponese e che ha svolto, al contempo, il ruolo di matrice e filtro culturale nell'assimilare e nell'accettare elementi stranieri. Difatti, il sincretismo, cioè la capacità di conciliare elementi eterogenei appartenenti a più culture o dottrine diverse, è una caratteristica tipica del popolo giapponese, e questo aspetto è denotato dalla pacifica convivenza fra religioni così diverse, come il buddismo, lo shintoismo, il confucianesimo e il cristianesimo, per citarne alcune, nello stesso territorio.

    Le divinità scintoiste sono chiamate kami (), un vocabolo allo stesso tempo singolare e plurale. I kami sono numerosissimi, anzi una quantità incalcolabile, come suggerisce l'espressione yaoyorozu no kami (八百万の神), ovvero "una miriade di kami".
    Originariamente, qualsiasi forma d'esistenza, solitamente legata alla natura, in possesso di qualità straordinarie e imponenti veniva definita kami: montagne, mari, fiumi, alberi, rocce, uccelli, animali; qualsiasi cosa evocasse un senso di profonda meraviglia veniva definito kami.
    Persino gli esseri umani dotati di qualità fuori del comune, come eroi, imperatori, antenati di famiglia e così via, venivano indicati con questo termine. Tutto questo ci porta a comprendere, in parte, il ruolo di queste divinità, in alcuni casi meglio definite "essenza divina" o "soffio divino", che risulta essere ben diverso dalla concezione e idea di Dio nella tradizione giudaico-cristina o musulmana.

    Un dipinto dell'artista Utagawa Kuniyoshi, attivo nel 19° secolo, raffigurante gli Shichifukujin (七福神), le "sette divinità della fortuna" portatrici di benessere e prosperità:
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    Fra le varie divinità shintoiste, i kami più venerati erano quelli legati alla fertilità, alla fecondità e alla produttività. Nella mitologia antica questo potere era simboleggiato dall'espressione musubi no kami (結びの神), "divinità dello spirito generativo", delle quali si parla nella storia di Izanagi (si legge Izanaghi) e Izanami, la coppia divina che, stando alla tradizione e al racconto narrato nel Kojiki (di cui trovate un resoconto in questa sezione dal titolo Storia del Giappone - La Genesi), diede alla luce gli altri kami e creò le isole del Giappone. Divinità centrale fra i kami che le divinità procreatrici misero al mondo era la dea del Sole Amaterasu, considerata la solenne antenata dell'illustre progenie, la casata imperiale giapponese.
    Tuttavia, queste divinità shintoiste non sono mai state concepite come un elemento assoluto e trascendente in relazione al mondo e all'essere umano e questo vale anche per le più importanti come Izanagi, Izanami e Amaterasu.
    Vi è, al contrario, una significativa continuità tra i kami e l'uomo. Ciò è in evidente contrasto con la simbolica dicotomia tra il creatore e la creazione delle religioni occidentali, nell'imprescindibile trascendenza di Dio rispetto all'uomo.
    Ma questo aspetto è appunto giustificato dal fatto che i kami non sono delle divinità assolute. Anzi, appaiono molto più simili agli dei della mitologia greca, nonostante non si possano porre sullo stesso piano la ricchezza filosofica e religiosa del mondo greco e la primordiale religione nativa del Giappone.
    In termini più specifici, la relazione che sussiste fra i kami e l'uomo è simboleggiata dal termine oyako (親子), che indica il rapporto fra genitori e figlio o, in senso più ampio, fra antenati e discendenti.
    La leggenda e il mito secondo i quali la casata imperiale giapponese è discendente in linea diretta, e senz'alcuna soluzione di continuità, della divina Amaterasu, potrebbe essere considerata una manifestazione enfatica del valore che il popolo giapponese assegna alla relazione oyako.

    Dipinto raffigurante Konohana no Sakuya-bime (o "hime") (木花開耶姫), traducibile pressappoco, la "fanciulla splendida come un fiore di ciliegio appena sbocciato". E' una divinità molto amata, intimamente legata al fiore di ciliegio, che simboleggia la sua delicatezza e sensualità. Inoltre, è venerata come divinità dell'acqua, divinità del monte Fuji e dotata della prerogativa di placare le eruzioni vulcaniche e di acquietare il fuoco. Viene considerata anche divinità protettrice delle mogli, delle nascite e dell'educazione dei bambini:
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    La visione shintoistica dell'uomo è generalmente ottimistica e positiva. La natura umana viene accettata come tale, quasi con innocente ingenuità. L'idea di un peccato originale cristiano o di un "inferno" buddista non è contemplata nello shintoismo. Nel giapponese antico, il vocabolo tsumi (), col significato di cattiveria o castigo, veniva inteso in modo generico. In altre parole faceva riferimento non solo alle trasgressioni morali, ma anche a disastri naturali, malattie, deformazioni fisiche e altro. Il male e il maligno stavano nell'impurità, cioè nella sozzura e nella lordura, sia fisica sia spirituale, laddove la bontà e il bene s'identificano con la purezza.
    L'uomo veniva considerato puro in origine. Il maligno, l'impurità era un fattore che poteva sopraggiungere, un'entità negativa che poteva e doveva essere rimossa per mezzo del misogi harai (禊祓い), una purificazione rituale, una sorta di esorcismo.
    Questa profonda riverenza dell'antico shintoismo verso la purezza continua a essere un elemento d'importanza ragguardevole nella cultura e nella religione giapponese, nonostante questo abbia abbracciato e si sia combinato con idee confuciane e buddiste.
    Questo concetto di purezza si manifesta in ogni aspetto della vita giapponese, non solo nella moralità o nella religione in sé, ma anche nell'arte e nell'architettura.

    Una foto raffigurante una parte del più famoso santuario shintoista in Giappone: il santuario di Ise (伊勢神宮):
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    La visione shintoista del mondo è prettamente legata al mondo terreno. Questo è considerato come il luogo dove si affermano i valori, mentre gli altri mondi hanno un significato di gran lunga meno importante per l'uomo. Secondo l'antica mitologia giapponese, il Giappone è una buona terra, creata dai kami e destinata a essere governata per l'eternità dagli eredi della dea del Sole Amaterasu.
    Gli altri mondi sono principalmente tre e compaiono sin dalle origini: takama no hara (高天原), "l'alta piana del cielo" o "mondo celeste"; yomi no kuni (黄泉国), "la terra dei morti"; tokoyo no kuni (常世国), "terra distante" o "terra lontana", che si ritiene fosse un luogo puro abitato da eremiti che avevano il dono dell'immortalità e, secondo alcuni, corrispondente alla Cina.

    Un dipinto raffigurante alcune divinità nell'alta piana dei cieli:
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    Raffigurazione di Tajima-mori (田道間守), un personaggio mitologico. Su ordine dell'imperatore Suinin, questi si recò nella terra lontana per procurargli un rimedio per l'immortalità. Tornò portando con sé un frutto miracoloso, ma ciò avvenne solo quando l'imperatore era già morto. E così, dopo aver deposto il frutto nel mausoleo del suo signore, si tolse la vita:
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    Scena che mostra Izanagi mentre si reca nella terra dei morti:
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    Tuttavia, nessuna di queste concezioni implicava un'assoluta trascendenza rispetto al mondo terreno o la radicale negazione dei valori umani.
    Il primo, takama no hara, si riteneva fosse un luogo splendente, abitato dai kami e dove tutto era migliore rispetto al mondo dell'uomo. Ma non era essenzialmente diverso dal mondo che conosciamo; era semplicemente una versione più "celestiale" del nostro mondo. Diversamente dal paradiso cristiano o buddista, takama no hara non era in alcun modo legato all'idea della salvezza e della beatitudine eterna.
    Il secondo, yomi no kuni, faceva riferimento a quel luogo oscuro dove l'uomo si sarebbe recato dopo la morte. Era visto come un mondo sotterraneo, buio, sudicio, impuro, ma non era in alcun modo associato all'idea o alla nozione di ricompensa e castigo determinate in base alla condotta dell'uomo durante la sua vita terrena.
    Il terzo, tokoyo no kuni, al quale già s'è accennato, era considerato una terra lontana, quasi irraggiungibile, in seguito associata all'idea di paradiso, ma svuotato del suo valore trascendentale.
    In ogni caso, lo shintoismo poneva maggiore enfasi e dava di gran lunga più importanza al mondo che conosciamo, nella convinzione che questo sia l'unico mondo adatto agli uomini.
    In ultima analisi, l'antica cultura giapponese e la religione shintoista erano caratterizzate da un legame che sussiste, permanentemente, tra i kami e l'uomo, dall'affermazione che la natura umana sia essenzialmente buona e pura, e da una visione ottimistica e positiva del mondo terreno, in una visione indissolubilmente correlata a quest'ultimo.
    L'idea di trascendenza assoluta o di pochezza e negazione dei valori propri di questi mondo è pressoché assente. Si potrebbe anche affermare che la mancanza di determinate idee e concezioni sia dovuta alla natura fondamentalmente arcaica di molte religioni etniche del mondo, ma ciò che sorprende, quando si parla di Giappone e shintoismo, è la presenza di questo sistema di valori rimasto quasi del tutto immutato dalle origini fino a oggi.
    In questo panorama così particolare, grandi correnti religiose e filosofiche provenienti dalla Cina, come confucianesimo e buddismo, cominciarono a esercitare una notevole influenza sulla cultura autoctona, permeandone ogni aspetto.

    Una foto del famoso torii (鳥居) galleggiante nella splendida cornice di Miyajima tinteggiata dal tramonto. Questa costruzione è un tradizionale portale d'accesso a un santuario o può indicare i confini di un'area sacra:

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    ·Introduzione e organizzazione:
    E' molto difficile racchiudere il concetto di shintoismo in un'unica definizione. Questo fenomeno affonda le sue radici in un passato avvolto dalle nebbie del tempo, in un'epoca in cui gli esseri umani avevano appena iniziato a colonizzare e abitare l'arcipelago giapponese. Da allora, lo shintoismo ha subito molti cambiamenti e si è sviluppato in diversi modi fino ai nostri giorni, racchiudendo in sé non solo una dimensione religiosa, ma anche socio-culturale.
    Si potrebbe definire lo shintoismo come un insieme di valori fondamentali che fungono da orientamento, da guida per il popolo giapponese. Questo è sempre avvenuto nel corso della storia di quel paese in momenti molto diversi, anche quando si sono stabilite relazioni con culture straniere.
    Dal punto di vista organizzativo, sempre in chiave religiosa, lo shintoismo attuale presenta quattro forme distinte: lo shintoismo della casa imperiale, kōshitsu shintō (皇室神道); lo shintoismo dei santuari, jinja shintō (神社神道); lo shintoismo delle sette, kyōha shintō (教派神道); lo shintoismo legato al folklore, minkan shintō (民間神道).
    Il primo è incentrato su rituali dedicati agli antenati della casata imperiale, celebrati in seno alle stesse istituzioni imperiali, e si distingue dalle altre forme di shintoismo perché, da una parte, è l'imperatore in persona a presenziare al culto ed è lui stesso a celebrarlo; dall'altra, perché questi rituali sono ancora contraddistinti dagli stili più arcaici dello shintoismo.
    Lo shintoismo della casa imperiale desta un certo interesse, ma non rappresenta la parte più genuina di questa religione, poiché i suoi rituali non sono aperti al pubblico.
    Lo shintoismo dei santuari, al contrario, ricopre un'importanza enorme in questa classificazione, poiché non solo è caratterizzato da un sistema di credenze ben definito, ma è intimamente legato alle festività e ai rituali che si tengono nei santuari in onore dei kami. L'argomento relativo allo shintoismo dei santuari verrà approfondito più in là.
    Fra le prime due forme a cui si è appena accennato, s'innesta quello che viene comunemente chiamato "shintoismo di Stato". Una creazione di stampo prettamente politico, concepita durante il periodo Meiji (1868-1912), che potrebbe essere considerata una commistione di shintoismo della casa imperiale e shintoismo dei santuari. Con la fine del periodo Edo (o Tokugawa), che va dal 1603 al 1868, vi fu un vero e proprio collasso del sistema feudale giapponese fondato su una rigida stratificazione sociale, e la conseguente apertura al mondo esterno, dopo un lungo periodo d'isolamento, mise a nudo i tanti limiti e problemi di quella società: la necessità di stabilire relazioni proficue con le potenze straniere, molte delle quali esigevano dal Giappone un atteggiamento meno introverso e non così ostinatamente radicale; l'urgenza di placare gli animi per il malcontento diffuso che serpeggiava nella società, soggetta a profondi e traumatici cambiamenti in un periodo molto breve, e il conseguente bisogno di riformare, modernizzare il sistema politico-istituzionale ed economico e, in generale, il paese.
    L'obiettivo di un radicale cambiamento poteva essere raggiunto solo attraverso una risoluta presa di coscienza e legittimato dalla reale consapevolezza di un forte senso di cultura e identità nazionale.
    Si stabilì che uno shintoismo incentrato sulla figura dell'imperatore, dotato da sempre di una forte carica simbolica, avrebbe fornito gli strumenti "naturali" per consolidare e mobilitare la nazione. Lo shintoismo sarebbe stato integrato nelle strutture di potere, concedendo al clero shintoista e alle sue istituzioni uno status privilegiato e fornendo supporto nell'ambito burocratico e governativo. Vennero promulgate misure che prevedevano la separazione dello shintoismo dal buddismo, fino a quel momento intimamente legati per varie ragioni storiche, venne ripristinato l'antico dipartimento shintoista degli affari, il jingikan (神祇官) -un'antica funzione, una sorta di dipartimento per il culto, guidata dal clero e che si occupava di gestire e regolare i rituali e il culto in tutto il paese- e vennero nominati dei funzionari per la propaganda, fra i tanti provvedimenti.
    Lo shintoismo di Stato assunse una forma, rispetto alle altre religioni, ben definita col passare del tempo e divenne una vera e propria istituzione di governo, e il suo clero una classe di funzionari di governo a tutti gli effetti.
    Perciò, dal punto di vista strettamente giuridico, lo shintoismo di Stato non era una religione e i valori che propugnava assumevano le fattezze di un'istruzione morale, piuttosto che di precetti e insegnamenti religiosi.
    Inoltre, sotto la crescente pressione delle potenze occidentali, il governo Meiji decise di conferire, formalmente, la libertà religiosa ai cittadini giapponesi, a patto che questa non nocesse alla pace e all'ordine e che non fosse contraria ai loro doveri e ai loro compiti, come recitava la stessa Costituzione Meiji.
    In parole povere, ciò significava che i gruppi religiosi dovevano ottenere un'autorizzazione del governo per poter agire conformemente alle leggi e le loro dottrine e rituali erano soggetti all'ordinamento stabilito.
    E così, il senso d'identità nazionale incentrato sulla devozione verso l'imperatore divenne, attraverso lo shintoismo di Stato, l'elemento fondante e ufficialmente accettato del nuovo ordine, i fili grazie ai quali tenere sotto controllo le organizzazioni religiose.
    Se da una parte ciò richiamava il concetto di salvaguardia del senso dell'individualità spirituale giapponese, dall'altra era anche la matrice profonda di chiusure razziali, spesso razziste, e di un esasperato nazionalismo, che raggiunse il culmine nel periodo comprendente la politica espansionistica e imperialista in Asia orientale e la disfatta nella seconda guerra mondiale.
    Questa struttura venne mantenuta, con poche variazioni, proprio sino alla fine della seconda guerra mondiale, e il sistema venne ufficialmente smantellato intorno all'inizio del 1946.
    Questa parte di storia serve a rendere più comprensibile ciò che s'intende per la terza forma presente nella classificazione: lo "shintoismo delle sette".

    Una foto con alcuni preti shintoisti durante un rituale:
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    Lo shintoismo delle sette fa specificatamente riferimento a tredici gruppi religiosi, che si formarono a cavallo fra gli ultimi anni dell'era Edo e l'inizio dell'era Meiji. Sino alla fine del periodo Edo (1868), le uniche religioni alle quali il governo prestava particolare attenzione erano il buddismo, che godeva di un particolare posto d'onore, lo shintoismo, spesso ignorato, e il cristianesimo, il quale in passato era stato proibito e bandito.
    Con la decisione del governo Meiji di esaltare e dare maggiore importanza allo shintoismo, il buddismo venne sostanzialmente privato del suo ruolo, mentre al cristianesimo fu concesso il diritto, legalmente riconosciuto, di essere professato, grazie all'influenza esercitata dai governi stranieri.
    Lo shintoismo di Stato aveva assimilato lo shintoismo dei santuari, dando vita a un'unica entità, e questo sollevò la questione relativamente al ruolo e alla regolamentazione dei gruppi religiosi. Il governo non aveva intenzione di includerli nello shintoismo di Stato, ancorché vi fossero molti punti di convergenza, ma riteneva che questi gruppi dovessero conformarsi a quelle dottrine e norme rituali che caratterizzavano lo shintoismo di Stato.
    La soluzione fu proprio l'istituzione di una nuova categoria: lo scintoismo delle sette, il kyōha shintō.
    Ognuna delle tredici sette venne riconosciuta col tempo come una propaggine, una branca dello shintoismo tradizionale, benché molte dovettero affrontare parecchi problemi per rientrare in questa particolare classificazione.

    Un ritratto di Kurozumi Munetada (黒住宗忠) fondatore nel 1846 dell'omonima setta, Kurozumi-Kyō:
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    Questa classificazione, esistente ancor oggi, non è del tutto accurata e si presta a differenti intepretazioni, sia dal punto di vista sostanziale, sia dal punto di vista teoretico, ma allo stesso tempo le sette comprese in questa categoria mostrano alcune caratteristiche comuni. Quasi tutte vennero fondate da personalità carismatiche. I kami venerati nello shintoismo delle sette, fatte salve alcune eccezioni, sono gli stessi dello shintoismo tradizionale, come Izanagi, Izanami e Amaterasu.
    Per quanto riguarda la pratica della fede nella vita quotidiana, il primo dovere di un credente sta nel dedicarsi con impegno a beneficio anche dell'imperatore e della nazione, per quanto questo possa essere insignificante. La speranza è che tale sforzo e abnegazione possano realmente contribuire non solo alla salvezza degli individui, ma anche al progresso dell'umanità.
    Credere nell'unicità dell'umanità, nella divinità e nell'identità dei mondi visibili e invisibili, costituisce la base dei principi cardine secondo i quali le sette shintoiste pongono maggiore importanza nella vita in questo mondo, rispetto alla vita nell'aldilà. Come logica conseguenza, viene insegnata e incoraggiata la purezza, la semplicità, l'onestà, l'impegno indefesso, l'altruismo e la generosità.
    Tuttavia, come altre organizzazioni religiose di tipo tradizionale, le sette shintoiste dipendevano fortemente dalle strutture delle comunità agrarie. A fronte dei rapidi cambiamenti imposti dalla modernizzazione e dall'urbanizzazione, si rese necessario rinnovare i propri programmi, affinché il sistema fosse più appropriato ed efficiente.

    Una via d'accesso a un santuario, durante una tradizionale festività shintoista:
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    Il quarto elemento della classificazione è lo shintoismo legato al folklore, il minkan shintō, che si potrebbe più semplicemente definire "shintoismo popolare". Questo termine sta ad indicare quell'insieme di rituali superstiziosi, magico-religiosi e pratiche della gente comune. Diversamente da altre religioni più elaborate, come il buddismo, lo shintoismo popolare non può essere rappresentato in termini di canoni o dottrina. Le sue ragioni vanno invece ricercate nell'approvazione, da parte della gente, dei costumi shintoisti, che sancisce la continuità di una tradizione, locale o nazionale, e nelle prospettive della vita di tutti i giorni. Si tratterà successivamente in maniera più approfondita di questo argomento.
    In buona sostanza, lo shintoismo nel suo complesso presenta quattro forme principali, la più rappresentativa delle quali è sicuramente lo scintoismo dei santuari, un fenomeno che va intepretato e trattato con la dovuta attenzione.

    CONTINUA...



    Edited by MusashiMiyamoto - 19/12/2019, 22:55
     
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    Grande Musashi! Attendo la conclusione dell'articolo e poi lo uppo sul sito.
     
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    Molto molto interessante,grande musashi sei un mito XD
     
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    Discussione aggiornata. Aggiunto il capitolo "introduzione e organizzazione". ^_^
     
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  5. jurehumar
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    Bravissimo Musashi!
     
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    CITAZIONE (jurehumar @ 23/2/2010, 20:36)
    Bravissimo Musashi!

    Grazie mille a te jure e anche agli altri. :) L'importante è che vi piaccia quest'argomento e che lo leggiate con piacere, altrimenti non passerei tanto tempo a scrivere e a sistemare le cose. ^_^
     
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  7. jurehumar
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    Approposito musashi. Non sei l'unico che studia il giapponese. ;)
     
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